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Comitato Politico Nazionale del 16 17 novembre: documento di minoranza

(22 Novembre 2002)

La grande manifestazione di Firenze, la sua eccezionale partecipazione di massa e la sua larga composizione, nazionale e internazionale, costituisce un fatto di alta rilevanza politica.
Conferma l’affacciarsi alla lotta di una nuova generazione che investe larga parte del quadro internazionale a fronte della crisi profonda dell’ideologia dominante.
Raccoglie e riflette l’ampia dinamica dei diversi movimenti di massa che hanno segnato in Italia l’ultimo anno politico, a partire dal movimento operaio e dall’opposizione popolare e di massa contro il governo Berlusconi.

Questo fatto produce un salto dell’impatto politico del movimento sullo scenario nazionale.
Da un lato suscita la reazione di settori di apparato dello Stato che ricorrono a una repressione frontale, mirata a colpire e dividere l’intero movimento, a intimidirne l’azione, a isolarlo da altri settori di massa: è il segno provocatorio dell’attuale arresto di dirigenti e attivisti no-global.
Dall’altro lato induce una parte rilevante del centrosinistra (Prodi-Cofferati) a una apertura di dialogo col movimento al fine evidente di subordinarlo ad una prospettiva borghese di alternanza.
Più in generale un settore rilevante di grande borghesia, italiana ed europea, guarda con crescente allarme alla potenzialità esplosiva dell’incontro tra nuova generazione e classe operaia e si predispone a disinnescarla.
E una parte rilevante della socialdemocrazia, forte di una sua legittimazione nel movimento, si candida ad aiutare le classi dominanti in questa operazione di sterilizzazione delle dinamiche di massa.

In questo quadro il Cpn del Prc considera prioritaria la pronta mobilitazione del partito e dei movimenti contro le iniziative repressive dello Stato per la immediata libertà di tutti i compagni arrestati e per la difesa intransigente dei diritti democratici e di lotta dei movimenti di massa.
Ma tanto più ritiene decisivo, da un punto di vista più generale combinare la presenza profonda dei comunisti in tutti i movimenti di massa con una battaglia politica e strategica di orientamento che, dentro l’unità dei movimenti, lavori allo sviluppo anticapitalistico della loro piattaforma, alla crescita della loro coscienza politica, all’unificazione delle loro forze, allo sviluppo democratico della loro organizzazione, alla loro piena autonomia da ogni espressione di centro borghese.
Tanto più oggi un rifiuto della battaglia di egemonia anticapitalista rappresenterebbe un fattore di dispersione delle potenzialità radicale dei movimenti di massa e un regalo insperato ai disegni opposti di egemonia socialdemocratica.

La costruzione della mobilitazione contro la guerra è il primo terreno di azione del nostro partito.
Il “no” alla guerra che oggi unifica su larga scala i sentimenti di massa dei movimenti, in Italia e in Europa, va posto come fondamento unitario della mobilitazione.
Ma dentro la mobilitazione unitaria i comunisti debbono denunciare la natura imperialista della guerra annunciata; smascherare, oggi più che mai, la natura borghese dell’Onu come luogo di mercanteggiamento dei diversi interessi imperialistici e strumento di legittimazione della guerra; respingere ogni illusione su ruolo e natura dei governi imperialistici europei e della UE, come sempre motivati dai propri specifici interessi strategici e non certo da vocazioni di pace; costruire una mobilitazione di classe contro la guerra che veda nella proposta di sciopero generale europeo il suo asse centrale unificante sfidando pubblicamente i dirigenti della Cgil e della CES a una precisa assunzione di responsabilità.
In questo senso va apertamente criticato il pronunciamento evasivo di Sergio Cofferati che, pur ostile oggi alla guerra, si distanzia esplicitamente dalla prospettiva dello sciopero contro di essa.

Nello specifico movimento no-global, che raccoglie tanta parte della radicalizzazione giovanile, i comunisti devono combinare, tanto più oggi, una piena partecipazione e costruzione unitaria del movimento con una battaglia di orientamento anticapitalista che risponda alle potenzialità radicali del movimento stesso.
E ciò contro quelle posizioni neo-riformiste, utopiche e subalterne, che invece disperdono tali potenzialità: posizioni talora assunte dalla socialdemocrazia internazionale o addirittura da forze liberali come possibile terreno di compromissione e subordinazione del movimento (v. Tobin Tax, bilancio partecipativo).
In questo senso è sbagliato affermare che il movimento non può avere una piattaforma e un programma oltre al richiamo “no al liberismo e no alla guerra”.
Al contrario questo richiamo prezioso va sviluppato in direzione di un programma anti-sistema che metta in discussione le basi del capitalismo e dell’imperialismo: l’unico programma che possa dare una prospettiva reale alle domande di svolta della nuova generazione e difendere e consolidare la stessa autonomia del movimento.
In questo quadro l’esperienza dei piqueteros argentini, della loro organizzazione democratica di massa, del loro programma anticapitalista, va assunto come riferimento esemplare e prezioso di approfondimento e confronto sia tra i comunisti che nel movimento.

Le più ampie potenzialità di comunicazione e convergenza tra le diverse dinamiche di movimento rafforzano le responsabilità centrali del movimento operaio come asse di ricomposizione di un blocco alternativo anticapitalistico.
Per questo e in questa logica è essenziale tanto più oggi una precisa proposta dei comunisti nel movimento di classe.
La classe operaia italiana, l’insieme del mondo del lavoro, è oggi ad un’impasse.
Dopo un anno di mobilitazioni centellinate contro il governo Berlusconi manca una piattaforma unificante, manca una proposta di lotta che ambisca a essere risolutiva.
Dopo lo sciopero del 18 ottobre in particolare pesa un totale vuoto di prospettiva.
L’apparato della Cgil che pur ha aperto il varco alle mobilitazioni continua a utilizzarle ai fini di recupero della concertazione e per questo continua a privarle di una piattaforma di svolta e di un possibile sbocco dirompente.
Il governo beneficia di questa impasse per contenere le sue crescenti contraddizioni e difficoltà.
E il padronato, a partire dai grandi gruppi capitalistici, ne approfitta per un drammatico affondo anti-operaio sul terreno cruciale dell’occupazione.
In questo quadro il Prc deve assumersi la responsabilità di una proposta al movimento operaio italiano.
Non può limitarsi a fiancheggiare la FIOM né può continuare a subordinarsi di fatto alla burocrazia Cgil e quindi a Cofferati.
Deve mettere in campo una propria proposta di piattaforma per una vertenza generale unificante e una proposta nuova di lotta sul terreno dello “sciopero generale prolungato”.
I luoghi di lavoro, le organizzazioni sindacali, innanzitutto l’avanguardia larga della classe vanno investiti apertamente di questa battaglia.
Nello stesso movimento no-global, largamente attraversato da giovani precari, il tema della piattaforma unificante e dello sciopero prolungato va apertamente posto al confronto e alla riflessione.

In particolare riveste un peso cruciale lo scontro di classe alla FIAT.
Sia in sé per i lavoratori coinvolti, sia per l’intera dinamica del movimento di classe e del blocco sociale alternativo.
Anche qui le burocrazie sindacali, se da un lato si oppongono al piano aziendale, dall’altro cercano una soluzione concertata di mediazione sul terreno posto dall’avversario.
Così mentre la lotta dei lavoratori continua, in condizioni difficilissime ma con potenzialità radicali (Termini Imerese), manca una direzione risoluta della lotta e un obiettivo chiaro della lotta.
Il Prc deve assumersi la responsabilità di una proposta.
Deve sviluppare tra i lavoratori la rivendicazione della nazionalizzazione della FIAT qualificandola in senso apertamente anti-capitalistico ( rifiuto dell’indennizzo e controllo dei lavoratori).
Deve avanzare la proposta di occupazione di tutti gli stabilimenti FIAT come unica vera risposta, nelle condizioni date, al drammatico attacco dell’azienda: lavorando a creare le condizioni della sua realizzazione.

L’intero dispiegamento della battaglia anticapitalista nei movimenti va accompagnato dalla chiarezza della proposta politica.
Il nostro partito non può continuare ad essere privo di una proposta politica di sbocco sul terreno dell’opposizione a Berlusconi.
Tanto più di fronte alla possibile imminenza della guerra e di una partecipazione ad essa del governo italiano la parola d’ordine della cacciata del governo per un’alternativa dei lavoratori assumerebbe una valenza diretta e una rilevanza internazionale.
Peraltro questa parola d’ordine risponde più di ieri al sentimento unitario di tutti i movimenti di massa.
Parallelamente tutte le esperienze di movimento confermano la totale incompatibilità delle ragioni della lotta di massa con il centro borghese liberale.
Il voto sugli alpini in Afghanistan e la disponibilità a sostenere una guerra all’Irak targata Onu; la presa di distanza dallo sciopero del 18 ottobre e la posizione assunta sul caso FIAT; il distacco dalla stessa manifestazione di Firenze rafforzano la necessità di una parola d’ordine chiara e inequivoca in ogni movimento: “rottura col centro borghese liberale in tutte le sue espressioni”.
E’ una parola d’ordine che può e deve incalzare la contraddizione abnorme della sinistra Ds e del cofferatismo: che combina la difesa della propria radice sociale nel mondo del lavoro e nei movimenti con la politica di coalizione col centro borghese contro ragioni e interessi dei movimenti.
Sinistra Ds e Cofferati vanno chiamati a una scelta di campo: o unità di classe e di lotta per cacciare Berlusconi per una vera alternativa anticapitalista, o subordinazione al centro liberale contro i movimenti in funzione dell’alternanza.
E’ una politica che mette a nudo le ambiguità insolubili della socialdemocrazia e può ampliare l’influenza di massa dei comunisti.
Nella consapevolezza che l’egemonia alternativa è condizione decisiva per il futuro dei movimenti.

In questo quadro il Cpn respinge la proposta ripetutamente avanzata di un blocco con la sinistra riformista “fuori dalla gabbia dell’Ulivo” per poi “negoziare insieme col centro moderato”.
Questa proposta è priva di qualsiasi base di classe.
Sostituirebbe di fatto un Ulivo decrepito con un centrosinistra rifondato.
Rimuoverebbe la battaglia di egemonia alternativa verso la socialdemocrazia nei movimenti.
Manterrebbe la prospettiva centrale di accordo col centro borghese, in totale contraddizione col più elementare principio di autonomia di classe.
Si porrebbe inequivocabilmente in un orizzonte di governo di alternanza, che sarebbe catastrofico per i movimenti e per il partito.

Parallelamente il Cpn respinge la proposta reiterata di “sinistra di alternativa”.
Non solo per la sua perdurante indeterminatezza, ma per la sua sostanza politica.
L’inserimento del Prc in un arcipelago di sigle, tendenze e associazioni non accrescerebbe né il lavoro di massa del partito né la massa critica dei movimenti: sostituirebbe invece la necessaria battaglia larga e di massa per l’egemonia anticapitalista con un cartello politico-elettorale di improbabili fortune e tenute.
Ma soprattutto rientrerebbe, come tassello subalterno, nella prospettiva di quella opposizione “tripartita” (sinistra alternativa, sinistra riformista, centro moderato) che è di fatto il centrosinistra rifondato.
Ciò che è in contrasto totale con la stessa evocazione di “sinistra alternativa”.

In alternativa a questa proposta, il Cpn avanza la prospettiva di costruzione del Prc come partito comunista con influenza di massa nel quadro di un lavoro di rifondazione dell’Internazionale rivoluzionaria dei lavoratori.
Una prospettiva che proprio l’emergere della nuova generazione in Europa e nel mondo, a fronte della crisi dei vecchi partiti riformisti, rende sempre più necessaria e attuale.

Marco Ferrando
Franco Grisolia
Matteo Malerba

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