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IMPRONTE

Editoriale del 30 maggio di radio Città Aperta di Roma

(30 Maggio 2002)

La sala degli arrivi internazionali come al solito è affollata. Al posto di controllo ci si divide. Da una parte i cittadini dell’Unione Europea che mostrano rapidamente il loro documento alla polizia e filano via spediti a ritirare le valigie. Dall’altra i cittadini extracomunitari che si devono invece disporre in una lunga fila per espletare procedure di ingresso assai più lunghe.

In fila osserviamo nell’ordine, un aitante giovanotto che somiglia molto ad un calciatore, un panciuto cardinale americano, una mamma ecuadoriana che tiene i suoi due bambini più lontani possibile dal cardinale americano, due giovani africani, un magrebino e via via la varia umanità che per un motivo o per l’altro viaggia per questo mondo reso più piccolo – dicono –dalla globalizzazione.

La fila si fa più lunga e più lenta perchè c’è una novità introdotta di recente. Oltre ad esibire il passaporto in regola – come si fa a tutte le frontiere – oltre ad esibire i documenti che rendono valido il visto di ingresso, adesso occorre pigiare le dita su un tampone di inchiostro e spiaccicarle su una scheda identificativa.

Il giocatore extarcomunitario prima la prende con filosofia convinto che il poliziotto stia scherzando e che in realtà voglia un suo autografo. Ma la legge è cambiata e adesso anche il giocatore deve rilasciare le sue impronte digitali prima di entrare in Italia. Sbuffa, protesta, si indigna ma...niente, deve lasciare le sue impronte come se fosse in una centrale di polizia e accusato di qualche reato.

Poi tocca al cardinale americano. Un brivido gli corre lungo la schiena: "mi hanno beccato" pensa. Le inchieste della FBI sulla pedofilia sono arrivate fino a qui. Poi si rasserena quando scopre che è la nuova procedura. Per il nervosismo dopo aver lasciato le sue impronte digitali le sue dita scorrono su e giù per la tunica lasciando più impronte digitali lì che sulla scheda della polizia di frontiera.

Poi tocca alla mamma latinoamericana con i due bambini. Il poliziotto insiste: anche i bambini devono lasciare le loro impronte digitali. Oggi sono piccoli ma domani potrebbero crescere. Ai bambini non sembra vero di potersi impataccare le dita e il resto legittimati dalla legge.

Quando tocca ai due ragazzi africani, qualcuno fa anche della pessima ironia – questi – dice – potrebbero pure non mettere le dita nell’inchiostro – ma la battuta non fa ridere nessuno. I due ragazzi protestano – ma perchè dobbiamo lasciare le impronte, abbiamo attraversato la frontiere in altri paesi europei e ci hanno chiesto il passaporto e il visto. E’ la nuova legge – tutti sono schedabili fino a quando non dimostrano di essere diventati cittadini italiani o almeno europei.

Il magrebino suda freddo, l’ultima che ha dovuto lasciare le impronte prima in una caserma del suo paese e poi in un commissariato di un paese europeo, la procedura è stata seguita da pestaggi violenti e gratuiti. Le impronte delle dita restano sulla scheda di ingresso. I dati vengono inseriti nel computer ma la risposta stenta ad arrivare. La fila si allunga e la gente rumoreggia. Mettiti da una parte – dice il poliziotto che riprende ad esaminare i passaporti e a far imprimere impronte digitali ai quattro quinti dell'umanità di questo pianeta.

Forse in Parlamento se lo sono dimenticato, ma l’Italia e l’Europa sono più piccoli del Brasile. Il resto del mondo è tutto extracomunitario. Se il governo italiano continua in questa direzione....finirà seppellito sotto una mare di impronte digitali.

Radio Città Aperta

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